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La fame dei prigionieri italiani

La macchina da guerra tedesca nei primi due anni fu perfettamente funzionante. L’Intesa non seppe attendere pazientemente gli effetti dell’embargo. In quel biennio andò incontro ad una serie di sconfitte ed inutili carneficine. I prigionieri furono moltitudini. Seicentomila quelli italiani. La convenzione internazionale dell’Aja stabiliva che al prigioniero fosse garantita la stessa razione di pace del soldato che lo aveva catturato: 250grammi di pane, 100 grammi di pasta, 80 di carne, frutta, verdura, caffè. La carenza di farina, costrinse l'Austria ad usare surrogati, come paglia, ghiande, segatura. I pacchi viveri che giungevano dall'Italia erano regolarmente saccheggiati.

Le convenzioni internazionali stabilivano che i prigionieri fossero trattati come in condizioni di pace. Ma se i civili non avevano da che mangiare, quali condizioni venivano riservate ai nemici fatti prigionieri?

Razioni da fame sia per gli ufficiali che per i soldati. Il pasto era una broda con bucce di patata e cavolo e quando andava bene: caffè a colazione, minestra d’orzo e patate a mezzogiorno, minestra di farinella e patate alla sera per gli ufficiali; per la truppa invece, caffè d’orzo la mattina, acqua bollita con rape e cavoli a mezzogiorno, una patata oppure una fettina di pane con un’aringa la sera (Redaelli).

Un prigioniero per tutti. Cappellano militare. Cremonese. Don Guido Astori. Don Guido Astori venne fatto prigioniero nel giugno del 1916. Soffrì la fame come tutti. Nel suo diario Memorie di guerra e di prigionia: "non avevo mai compreso prima quanto sia buono un pezzo di pane quando si ha fame". Il senso di colpa per essere sopravvissuto ed aver accettato un episodio di privilegio lo accompagnò tutta la vita. Fu invitato il 29 marzo del 1917 a pranzo dal rettore di un Seminario. Il pasto fu ricco. Ne approfittò, ma nello stesso tempo venne preso dal rimorso. La fame che pativano i prigionieri e gli stessi Ungheresi non poteva essere rimossa dalla coscienza. Nel suo diario e nei sermoni in cui a volte ricorrevano i ricordi di guerra anche decenni dopo il conflitto il senso di colpa fu ricorrente: "questa abbondanza mi fece un’impressione ben dolorosa. In questi tempi di sacrificio il prete dovrebbe essere il primo a sacrificarsi!"

Freddo, fame, ammassamento, igiene precaria. Centomila prigionieri italiani morirono di stenti.

Il fonte dell'Intesa

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