9.2 – La zucca nella natura morta
Al prof. Lanfranco Ravelli viene affidato un compito fuori dagli schemi della Storia dell’arte: prendere il tema rappresentato, cioè la zucca, come oggetto della ricerca e non le opere o gli autori. Questo cortocircuito ha stimolato l’autore a scrivere un testo che abbina il rigore filologico al piacere giocoso delle contaminazioni. La lettura della relazione (negli atti del convegno sulla zucca di Reggiolo, 2003, Editoriale Sometti 2004, Mantova) stimola la curiosità della scoperta di quanto riservano le pagine successive. Un piacere che verrebbe rovinato da qualsiasi riassunto. Qui di seguito viene quindi riportato qualche spunto frammentario. | ||||
Si parte con due affermazioni che predispongono subito ad una buona sintonia, la prima attribuita a Federico Zeri, la seconda dell’autore: "Un buon conoscitore di natura morta deve essere anche un botanico, o, quanto meno, avere una conoscenza molto approfondita dell’argomento." "Lo studio, da un lato, mi ha arricchito, dall’altro ha evidenziato come l’ignoranza degli ambiti specifici possa indurre all’errore anche grandi esperti di natura morta". Per non cadere nell’errore Lanfranco Ravelli si è trasformato in botanico, agronomo, biologo. Il lettore si fa complice di questa sfida raccolta dall’autore che si cruccia dei propri limiti: "Qua e là permangono incertezze che affioreranno nella mia stessa relazione quando ci addentreremo nella natura morta romana: qui la diversità della rappresentazione fra la "zucca massima" e il "melone di Cantalupo", complice l’enfatizzazione della cultura barocca, lontana dalla pura illustrazione scientifica, può averci indotto in qualche errore di identificazione". Come opera paradigmatica Ravelli sceglie i festoni della volta della "Loggia di Psiche" nella villa di Agostino Chigi alla Lungara in Roma, eseguiti da Giovanni da Udine, sotto la regia di Raffaello intorno al 1517. Nei festoni, infatti, vengono rappresentate a soli 20 anni dalla scoperta delle Americhe molteplici varietà di zucche: "una sorta di splendida ideale enciclopedia di tutto quanto era noto alla scienza botanica del tempo". I temi dei maestri dei festoni come Giovanni da Udine, trovano nuova espressione nella pittura fiamminga e negli incisori fiamminghi che a loro volta ispirano artisti come Vincenzo Campi e Bartolomeo Passerotti. La Trombetta d’Albenga e la Marina di Chioggia sono le due specie di zucca più frequentemente rappresentate. Spesso associate a metafore sull’intelligenza e la vanità, ed anche ad allusioni erotiche. Col Bronzino (Firenze 1503-1572) si assiste ad una nuova evoluzione, è la stessa mano che dipinge festoni e rappresentazione. Il primo passo verso l’affermazione della natura morta come genere autonomo. Una delle prime opere di natura morta autonoma è conservata presso la Galleria Borghese a Roma "fiori, frutta e ortaggi" tipica del ‘500 lombardo, in essa sono rappresentate sia la lagenaria longhissima che la cucurbita pepo. Gli storici dell’arte dibattono se si tratti di opera di un maestro fiammingo "Maestro di Hartford" oppure di Caravaggio. Ravelli propende per Caravaggio, gli anni giovanili di apprendistato presso il Cavalier d’Arpino. Nel ‘600 la Trombetta d’Albenga cede il passo alla Marina di Chioggia che si adatta meglio all’estetica barocca. La ricerca di Ravelli cita tutti i grandi artisti di riferimento come l’Arcimboldi, ma anche capolavori di cui non si conosce l’autore: quattro magnifici quadri di unica mano, databili intorno al 1600-1620, in cui la zucca è la protagonista. Passo a passo Ravelli ci porta ai giorni nostri con un’ampia documentazione iconografica che non tralascia l’iperrealismo di Corona ed i media audiovisivi. Un invito alla pittura ed alla rappresentazione della vita attraverso di essa. | ||||