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Introduzione

Il rapporto tra religione e religiosità si è modificato profondamente nel corso dei secoli. Nel Cremonese come altrove, la vita delle comunità cittadine e rurali si sviluppava secondo il calendario liturgico intrecciato a quello agricolo, cadenzato nel succedersi delle stagioni. Ricorrenze apparentemente religiose come quella di S. Martino erano in realtà importanti perché segnavano convenzionalmente dei contratti agrari e il mosto aveva completato il ciclo di fermentazione e si poteva bere il vino nuovo.

Le feste più grandi - salvo quelle connesse ad eventi di tipo famigliare come matrimoni e battesimi, ed a qualche raro evento "politico" - erano proprio legate alle più solenni celebrazioni religiose: la nascita di Cristo, la sua morte e la sua resurrezione, l’assunzione al cielo della Vergine, il Santo Patrono.

Le testimonianze raccolte si riferiscono tutte alle feste religiose cattoliche, non si fa cenno alcuno alle feste ebraiche proprie di importanti comunità del cremonese come quelle presenti a Soncino o ad Ostiano, feste in cui il cibo aveva ed ha tuttora un grande rilievo.

Le ricorrenze religiose erano occasioni di festa, sottolineata dal consumo di cibi più ricchi, più rari o semplicemente più abbondanti rispetto alla frugalità di tutti i giorni. Ma non si perdeva mai il collegamento con aspetti religiosi: le feste erano accompagnate da pubbliche manifestazioni di devozione dell’intera comunità (processioni, messe solenni) e pranzi più ricchi erano occasione anche per manifestazioni di carità verso i più poveri. Questa caratterizzazione si è ormai perduta, e il consumismo dilagante ha annullato completamente tale aspetto.

L’aumentato e diffuso benessere ha fatto perdere d’importanza agli aspetti "gastronomici" delle feste: in passato c’era chi mangiava carne solo a Natale, a Pasqua e il giorno della sagra.