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Il maiale nelle tradizioni cremonesi

Il maiale è strettamente legato alla civiltà contadina, tanto strettamente legato da essere chiamato nimàal, cioè «animale», l’animale per antonomasia, e il consumo dei prodotti ottenuti con le sue carni accompagnava ogni solenne festività.

Il musetto a Capodanno

Una volta nel pranzo di Capodanno si mangiava il musetto di maiale bollito, piatto un po’ troppo rustico e grasso per i gusti moderni, tanto che oggi hanno preso il sopravvento il cotechino e lo zampone. Il grugno e la zampa erano le parti che il maiale usava per scavare la terra e trovare il cibo ed erano quindi ritenute di buon augurio. Avevano il valore simbolico di tenere lontane la fame, la carestia e la povertà.

 

Sàant’Antoni del pursèl

Il 17 gennaio si celebra la festa di S. Antonio il protettore degli animali: Sàant Antòni di animàai o del pursèl. L’iconografia popolare lo rappresenta come un vecchio dalla barba bianca con a fianco l’inseparabile maiale e altri animali domestici.

La settimana in cui cade la sua festa il sacerdote andava a benedire le stalle e lasciava, da appendere alle pareti, un’immagine del santo: i contadini ricambiavano offrendo un bel salame. Si diceva che nella notte di S. Antonio tra il 17 e il 18 gennaio gli animali parlassero tra loro per cui quella notte nessuno osava andare a chiacchierare od a filare nelle stalle, abituale luogo di ritrovo in passato perché consentiva di stare al caldo senza consumare legna. Per S. Antonio poi era assolutamente vietato far del male o far lavorare gli animali; il peccato più grosso sarebbe stato uccidere il maiale, amico inseparabile del santo. Si diceva che un contadino che aveva sgozzato il maiale proprio in tal giorno se lo vide sorgere vivo dalla tinozza in cui stava per dissetolarlo con l’acqua bollente e la raspa. L’animale scappò via e non si trovò più: il santo aveva punito il malvagio contadino e liberato il suo protetto. Come tutte le feste importanti anche questa aveva riflessi gastronomici:

  • la chisòola ònta a base di ciccioli di maiale e di strutto;
  • il pane con lo strutto, benedetto dal più piccolo di casa, tagliato a fette e distribuito agli animali;
  • le frittelle cotte in abbondante strutto;
  • i tortelli di zucca e, in alcuni paesi del cremonese, i marubini che nel ripieno hanno l’impasto fresco del salame e sono cotti nel tre brodi (manzo, pollo, maiale). Il poeta cremonese Melchiorre Bellini (1841-1917 in Cronaca cittadina: la processione (1841) (17) definisce con un po’ di irriverenza S. Antonio il purchèer del Paradiis per il maiale che è sempre raffigurato al suo fianco. La definizione si amplia poi nelle parole con cui il vescovo Bonomelli si rivolge in preghiera al santo, con evidente allusione ai prodotti che dal maiale si possono ricavare:

Sant de le spalle e de le mourtadelle,
Di coudeghin, di zeucch (18), di cervellat...

(17) In Poesie in dialetto cremonese, ed. critica a cura di G. Taglietti, Cremona 1987, pp. 60-64.
18) Zeucch: testa di maiale, voce corrispondente a testeuzz (A. Peri, Vocabolario cremonese italiano, Cremona 1847).

 

Il giorno dei Morti

Il giorno dei Morti è ancora viva a Cremona l’abitudine di entrare all’osteria, al ritorno dal cimitero, per gustare una scodella calda di fazuléen e cùdeghe. In alcune zone del Cremonese, poi, la notte del 1° novembre, le tavole non venivano sparecchiate in modo da consentire ai morti della famiglia di rifocillarsi e di sentire la vicinanza e l’affetto dei parenti.

 

Alcuni proverbi

E di riferimenti al maiale sono ricchi i proverbi cremonesi; eccone alcuni (19) fra i più noti e diffusi in tutta la provincia:

El prìm nimalìin e l’ùultim cagnulìin. È credenza generale che il primo maialino nato così come l’ultimo cagnolino saranno quelli che daranno la migliore riuscita.

El véen tut in de’na bùta, el salàm tut in de’n budél. Il vino in una sola botte ed il salame in un solo budello: più la botte è grande, meglio conserva il vino, più un salame è grosso, più è saporito.

En bòon cudeghìin el và mangiàat cul cuciarìin. Un buon cotechino va mangiato ben cotto, quasi sciolto, con il cucchiaino.

I negusiàant e i nimàai, i se péeza quàant j è mòort. I negozianti e i maiali si pesano dopo la loro morte. Per avere la misura dell’onestà dei negozianti occorre infatti che passi molto tempo.

Om, àazen e pòorch / i se péeza dòpo mòort. Uomini, asini e porci si pesano dopo morti. È un fatto che se l’uomo durante la sua vita ha acquistato qualche merito, questo viene riconosciuto dopo la sua morte.

L’òort l’è ’l nimàal mòort. L’orto produce vantaggi paragonabili a quelli che si ricavano dal maiale morto: entrambi infatti producono nutrimento per l’intero anno.

Quàant i nimàai i crìida, el padròon el rìt. Quando i maiali grugniscono forte all’orario dei pasti, dimostrando buon appetito e quindi buona salute, rendono allegro il loro padrone.

Too muéer e masàa ’l nimàal / j è vòt dé de carnevàal. In occasione delle nozze e dell’uccisione del maiale si fa festa per otto giorni. In campagna, un tempo, le occasioni per le grasse mangiate erano piuttosto rare e quando si presentavano si cercava di farle durare il più a lungo possibile.

(19) Da Proverbi cremonesi, a cura di P. Brianzi, Cremona 1974.

 

Il Carnevale del Quinto Quarto

A Isola Dovarese, un paese della provincia di Cremona, l’ultima domenica di carnevale si festeggia dal 1998 il Quinto Quarto per ricordare l’uso, nella cucina tradizionale padana, delle parti povere, quelle che restavano dopo aver squartato, cioè diviso in quarti, la carcassa del maiale. Ma, si sa, del maiale non si butta nulla ed anche gli scarti nella povertà del mondo rurale avevano un valore paragonabile alle parti più nobili e pregiate dell’animale.

L’evento, collocandosi alla fine del periodo classico della macellazione del maiale, si sovrappone alla fine del carnevale. Nel rispetto delle tradizioni culinarie, ancor oggi sorprendentemente vive, tra il vapore delle pentole, il profumo dei cibi e dei dolci di carnevale, tra musica e canti, storie, burattini, maschere e fantasia, il maiale ha il suo momento di gloria e di rispetto. La cascina Sartori, posta sud del paese, ogni anno ospita la festa nella sua ampia corte; nella stalla riscaldata si gustano i cibi preparati, nelle case dei braccianti sono riproposti gli ambienti con arredi e utensili originali del fornaio, del cestaio, del norcino, del casaro…, a testimonianza concreta della forza e della operosità della gente dei campi. Vengono cucinati i piatti tradizionali, che utilizzano ciò che resta dopo aver squartato il maiale: si tratta, salvo che per il fegato ed il rognone, di parti di scarto: ossa, cotenne, piedini, cuore, orecchie, codini e sangue. Questi i piatti che di solito vengono preparati:

  • Riso con le verze matte
  • Zuppa di fagiolini con le cotenne
  • Fegato con cipolle
  • Rognone trifolato
  • Cuore (tagliato a fettine sottili e rosolato velocemente in padella con olio e salvia)
  • Sanguinaccio
  • Ossi bolliti con piedini, orecchie e codini

 

La Festa del Pipèn

A Torricella del Pizzo, piccolo centro della campagna cremonese posto sulla sponda sinistra del Po e famoso per la produzione del " salame col filetto", da qualche anno in occasione della festa di S. Antonio ( il 18 gennaio ) si organizza la Fèsta dal Pipèn, la festa del piedino di maiale lessato, che viene servito con contorno di salse e mostarde.

 

Sfida tra cotechini

Da sei anni gli «Amici della cucina» di Le Valli di Castelleone organizzano la sfida per il miglior cotechino cremonese all’agriturismo di Bressanoro. Qui, dopo una severa selezione, viene scelto il migliore, che é premiato nel corso di una pantagruelica cena che, tra l’altro, prevede: polenta abbrustolita con lardo cremonese, ciccioli, butòon de pajàas con polenta fresca, minestra di riso con pistòm e verze, cotechino con purè e crauti, lesso con mostarda e piedini di maiale trifolati. Il ricavato della cena è devoluto in beneficenza.