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La cucina di pesce casalinga

Il pesce veniva cucinato nelle famiglie cremonesi, ma si mangiava solo il venerdì o nei giorni prescritti per il magro.

Era pesce di acqua dolce, venduto dai pescivendoli che lo portavano nel centro città, ma anche in cascina, in una grossa cesta legata sul portapacchi posteriore della bicicletta sul cui manubrio era sistemata la bilancia.

Ambula, ambulina (pesce minuto), tènche, strecc, boss e zèerle era il grido con cui si annunciava la loro venuta; in certi mesi dell’anno vi erano anche le rane infilate su un bastoncino o conservate in un sacco. Ogni tanto circolava per le vie di Cremona un carretto che trasportava uno storione gigantesco che a volte superava il metro e attorno ai pescatori orgogliosi si accalcava una folla di curiosi.

Il pesce del Po e degli altri fiumi era molto saporito: anguille, lucci, pesci gatto, tinche, carpe, pesce minuto erano cucinati con olio e in modi diversi secondo le qualità.

Le anguille erano un piatto riservato alle feste, si preparavano marinate, ma anche in umido; bòs e zèerle (gobioni, ghiozzi e cobiti), pesci oggi quasi scomparsi, venivano fritti e mangiati subito con la polenta e poi conservati in "ajòon", in carpione, come del resto si faceva per tinche, carpe, pesci gatto perché quel che non era mangiato subito potesse durare più a lungo.

Tinche, carpe e pesci gatto erano cotti anche in umido con i piselli, raramente arrostiti ed erano buon condimento per le minestre di riso.

Si comperava anche il baccalà, il merluzzo salato, e lo si cucinava in umido con il pomodoro, ma anche fritto, lessato e insaporito con la "pistàada" di olio, aglio prezzemolo, sale e pepe.

In campagna si usavano molto le aringhe e le acciughe sotto sale (venivano dal Veneto rivenditori specifici attrezzati con botti piene!) con cui si preparava una saporitissima salsa da mangiare con la polenta, il gösafèr.